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Carta Amalfi
La lavorazione della carta fu appresa dagli Arabi intorno al XII secolo.
Gli Amalfitani avevano in quegli anni continui contatti commerciali con tutti i popoli del Mediterraneo, e questo nuovo supporto per la scrittura, assai più pratico della pergamena, risultò di grande utilità nelle trascrizioni delle numerosissime transazioni che i mercanti di Amalfi effettuavano a casa propria come in tutti i porti che frequentavano. A confronto della pelle essiccata (la pergamena, appunto), la preziosa carta di Amalfi risultava essere più leggera, più maneggevole, più chiaramente leggibile: sembrò quindi ovvio che la città si attrezzasse per produrre in proprio il nuovo materiale.
La lavorazione della carta di Amalfi consisteva nel raccogliere stracci e tessuti preferibilmente di cotone, che venivano poi battuti da magli di legno per spezzarne le fibre. La matassa così ottenuta veniva posta a macerare in tini maiolicati in abbondante acqua. Trascorso un certo periodo, gli stracci si disfacevano, amalgamandosi col liquido nel quale erano stati lasciati in infusione. Nella sostanza semiliquida così ottenuta veniva immerso un telaio in ferro, la cui rete a maglie strettissime tratteneva la parte più solida lasciando colare l'acqua in eccesso. Lo strato di pasta veniva quindi spianato da una pressa e posto ad asciugare. Terminato il processo di essiccazione, ecco pronto un foglio di raffinatissima carta di Amalfi (detta anche, all'epoca, bambagina): su di esso spiccava quasi sempre la filigrana del produttore, che il telaio in ferro imprimeva indelebilmente sulla pasta raccolta nel tino, per semplice pressione.
Col passar dei secoli, naturalmente, gli strumenti usati venivano continuamente migliorati, introducendo ad esempio utensili in metallo piuttosto che in legno, oppure rudimentali meccanismi che alleggerivano il lavoro degli operai: ma il procedimento è rimasto sostanzialmente inalterato fino ai giorni nostri donandoci un prodotto prezioso e versatile quale è la Carta a Mano di Amalfi.
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Gioia carta